Presenti

Medea per strada

di Elena Cotugno e Fabrizio Sinisi
con Elena Cotugno
ideazione e regia Gianpiero Borgia

Medea per strada non è semplicemente uno spettacolo: è un’esperienza che ci ha attraversato e che speriamo attraversi e scuota allo stesso modo anche il pubblico che ci segue.
Abbiamo provato a leggere e a raccontare, oltre la superficie, la storia di alcune migliaia di esseri umani partiti dai loro paesi con un sogno che all’arrivo qui in Italia si è rivelato un incubo.
Nel grande mare del tema delle migrazioni, abbiamo messo a fuoco il fenomeno che riguarda quelle donne, sconosciute eppure in qualche modo famigliari, quasi elementi di un arredo urbano cui siamo assuefatti, che “lavorano” sulle nostre strade. Donne partite alla ricerca di una vita migliore che si sono ritrovate schiave nel racket della prostituzione.
Il testo scritto cui sono approdati Fabrizio Sinisi ed Elena Cotugno si pone nel solco delle libere riscritture del mito di Medea, rivela allo spettatore d’oggi la “tragedia dello straniero” con la forza del mito greco.
Quello che proponiamo al pubblico è una esperienza che va oltre il semplice assistere ad uno spettacolo teatrale. Gli spettatori, non più di sette, vengono invitati a salire su un furgoncino, un vecchio ferro del ’94 allestito da Filippo Sarcinelli che rievoca un teatrino, oppure un postribolo viaggiante.
Il furgone parte e percorre la strada, non una ma tutte le strade della prostituzione. Ogni città ne ha una: Via Ripamonti, Viale Cristoforo Colombo, Statale 231, Riviera Nord, Lungo mare Canepa. L’attrice, Elena Cotugno, sale come una di quelle e ci racconta la storia di una giovane migrante, scappata dal proprio paese, arrivata in Italia e finita a prostituirsi per amore di un uomo da cui si crede ricambiata e da cui ha due figli.
In ogni città ci lasciamo condurre dalle associazioni che si occupano di tratta e prostituzione in un viaggio attraverso quei luoghi, raccogliendo storie, osservando come il fenomeno cambi pur restando sempre fedele agli stessi rituali: abbordaggio, contrattazione, consumo della prestazione. Ci sono roulotte, ombrelloni, furgoni, fuochi, luoghi di avvicinamento, di sfruttamento e schiavitù.
L’empatia che si crea nel furgone tra quelle otto persone determina la replica. All’interno del veicolo scorre un racconto interiore, intimo e mitico a un tempo. All’esterno scorre la strada, quella stessa che tutti i giorni ci risulta indifferente e che così prende un senso.
È l’estremizzazione di una poetica ventennale nella quale, sin dal lavoro dell’attore, che non interpreta e non s’immedesima ma convive con il personaggio e tende a coincidere con esso, utilizziamo il reale nell’immaginario e l’immaginario nel reale, elementi del passato nel presente e del presente nel passato, temi sociali nel teatro d’arte e momenti di teatro d’arte nell’azione sociale, cercando un senso dove non ci appare e cercando d’infrangerlo dove ci pare troppo cristallizzato.
Infine, è stato possibile sviluppare il progetto, anche e soprattutto, grazie a un lungo e intenso percorso di approfondimento e mesi di volontariato sul campo che Elena Cotugno tuttora prosegue a fianco di assistenti sociali e associazioni che si occupano dell’assistenza in strada e del tentativo di recupero di queste donne. Agli operatori sociali che ci hanno aiutato va un ringraziamento speciale soprattutto per l’incredibile lavoro che fanno ai confini dello stato e del vivere civile.
Ci hanno permesso di accompagnarli sulle strade durante le operazioni di assistenza, di parlare con le ragazze e di confrontarci con il fenomeno in prima persona, nel rispetto di tutti, di mantenere viva la voglia di raccontare un mondo sterminato di viaggi e di schiavitù, di non chiudere gli occhi, le orecchie, la bocca.

Cabaret Sacco e Vanzetti

ideazione e regia Gianpiero Borgia
Da Michele Santeramo
Con Valerio Tambone e Raffaele Braia
Scene Vincenzo Mascoli | luci Gianpiero Borgia | costumi Manuela Paladin Sabanovic
Musiche Papaceccio MMC, Roberta Carrieri
in coproduzione con Teatro Nazionale di Croazia “Ivan Zajc” – Dramma Italiano di Fiume.
Con il patrocinio di Amnesty International Italia

Cabaret Sacco & Vanzetti racconta la storia di Nicola e Bartolomeo, due anarchici italiani arrivati negli Stati Uniti negli anni ‘10 del secolo scorso e transitati da Ellis Island, l’isola al largo di New York che per gli emigranti di allora era come Lampedusa per gli immigrati di oggi. Sacco e Vanzetti vengono accusati di omicidio e condannati a morte dopo un processo farsa nel quale più che le prove, largamente infondate, pesarono le idee politiche e l’origine italiana dei due.
Cabaret Sacco & Vanzetti è il racconto, divenuto paradigmatico, di due umili, due ultimi, due migranti, due eroi moderni divenuti simbolo universale delle battaglie per i diritti di uguaglianza e giustizia. Condannati alla sedia elettrica per un delitto che non avevano commesso, vittime di un crimine giudiziario, Sacco e Vanzetti caddero anche a causa della “politica del terrore” contro i “rossi” che l’America del tempo praticava, con speciale ferocia quando si trattava di immigrati.
La storia di Sacco e Vanzetti, il loro rapporto, che muterà nei tanti anni insieme fino a divenire una grande amicizia, ha il ritmo di una ballad, una melodia continua sempre presente nello spettacolo: ogni giorno Nicola e Bartolomeo devono improvvisare la loro vita, mantenendo però salda la loro fede in una vita migliore, più libera, combattendo un mondo in cui regna  il pregiudizio.
Sottratta alle trappole della retorica e del melodramma, grazie al lavoro di Gianpiero Borgia sul testo di Michele Santeramo, la vicenda di Sacco e Vanzetti è così restituita alla dimensione della Storia attraverso le armi del teatro,  il linguaggio del cabaret e il corpo di due attori infaticabili (Valerio Tambone e Raffaele Braia) che si offrono senza riserve. Le migrazioni, il pregiudizio razziale, l’intolleranza e la giustizia sono temi che attraversano la contemporaneità e scuotono la coscienza di tutti. Per questo TB  rinnova il proprio impegno sul
fronte dell’Arte Civile, raccontando la vicenda dei due migranti italiani, vittime e simbolo di ogni discriminazione e ingiustizia.

Cabaret d’annunzio

di Fabrizio Sinisi
regia di Gianpiero Alighiero Borgia
in coproduzione con Teatro Nazionale di Croazia “Ivan Zajc” – Dramma Italiano di Fiume.

Cabaret D’Annunzio, primo spettacolo della serie dei Cabaret Storici costruisce un ritratto non agiografico di Gabriele D’Annunzio.
Un “D’Annunzio che non è quello che ci hanno fatto studiare, né quello dell’iconografia tradizionale, non è il D’Annunzio poeta e eroe, ma paradigma di una italietta egoista e arrivista, di ieri e di oggi”. Cabaret D’Annunzio mette insieme due letture possibili, “quella dello spregiudicato promotore di se stesso che durante la sua parabola ascendente burla il mondo, e quella dell’affabulatore che finisce per prendersi sul serio”.
Dalla giovanile trovata autopubblicitaria di “fingere la propria morte” alla conquista della vita mondana di Roma, dalla “beffa di Buccari” all’amore travolgente con la divina Eleonora Duse, dalla presa di Fiume all’esilio parigino, dal vitalismo amoroso e guerresco al
fastoso crepuscolo del Vittoriale, quella di Gabriele D’Annunzio è stata senza dubbio un’esistenza fuori dal comune. Al centro di velenose controversie e polemiche antipatie, D’Annunzio è stato di certo uno fra i più importanti personaggi italiani del Novecento: la
sua vita è un luogo straordinario dove tutto il nostro paese e il nostro secolo può specchiarsi, capirsi, anche pentirsi.
Gabriele D’Annunzio è la nostra (cattiva) coscienza, il nostro orgoglio e il nostro rimorso; è una forma dell’inconscio italiano.

I Cabaret Storici sono una personale indagine sulla Storia e sull’italiano.

Su un paese che non ha un rapporto serio e approfondito con la propria storia, un paese che non matura mai ma invecchia
direttamente: è questa la spinta socio-politica del progetto.

Possibili

Cabaret mussolini

Autoritratto di un Popolo

Ideazione e regia di Gianpiero Alighiero Borgia
Drammaturgia di Fabrizio Sinisi
Con Elena Cotugno

APPUNTI PER CABARET MUSSOLINI

In questo lavoro partiamo dall’esplorazione di quesiti che sottendono un rapporto intimo, personale, familiare con la materia: quasi tutti ricordano il nonno partigiano, ma molti eclissano il nonno fascista, con quella rapidità che presuppone una coscienza sporca. L’Italia – è questa l’ipotesi di partenza – non ha mai metabolizzato del tutto il suo passato fascista. Per quanto il fenomeno sia stato approfondito da storici e intellettuali, esso resta per grande parte degli italiani un tabù. Differentemente dalla Germania, l’Italia non ha mai affrontato drammaticamente la colpa storica di aver generato una dittatura: Benito Mussolini rimane per essa appunto il Grande Rimosso, diventando – per via di un curioso capovolgimento del costume tipicamente italiano – un bozzetto, un feticcio. Un’icona, sì, ma nell’ombra.
L’autoritratto segreto di un popolo.
Mussolini, come scrive Hans Woller, è solo il “Primo Fascista” fra gli italiani del suo tempo. Come ha intuito Carlo Emilio Gadda in Eros e Priapo, egli ha avuto la capacità di incarnare, impersonandolo, nel proprio corpo, nel proprio personaggio, l’Italiano che tutti – forse senza neanche saperlo – volevano essere, diventando la proiezione dei desideri e delle pulsioni più remote di un’intera nazione.
Mussolini ha fatto convergere su di sé alcuni tratti endemici della cultura e del carattere degli italiani, e li ha trasformati in peculiarità, talenti, mezzi di lotta politica che ancora oggi vediamo esplodere in tutta la loro estensione: la prevalenza della natura sulla cultura, dell’istinto individuale sull’interesse generale, lo spostamento del conflitto dal piano verticale del merito a quello orizzontale della denigrazione personale e morale, la trasformazione sistematica degli avversari in nemici, il pigro elogio della propria arretratezza come tradizione; soprattutto l’ostentazione della propria persona, del proprio corpo, come vero luogo della vita politica.

Il Mussolini di questo progetto, impersonato dall’attrice Elena Cotugno, recentemente impostasi all’attenzione del teatro italiano per la sua Medea per Strada, diventa per paradosso l’italiano per eccellenza, la macchietta del maschio rovesciata in donna, l’oggetto di uno studio analitico, antropologico, psicologico e comportamentale su alcuni tratti dell’italianità che riconosciamo in noi stessi e nei nostri connazionali, con l’ausilio di quella distanza che il tempo e la storia ci consentono.

Il fascismo di Mussolini viene inteso come “la prevalenza del bruto”, cioè la prevalenza della volontà di dominio e sopraffazione, della forza sulla ragione, del conformismo di massa sull’identità individuale. Mussolini è l’ uomo che incarna questa visione e il fascismo è la dottrina politica che la attua, attraverso la pianificazione sistemica: il bruto, prevale. Nella nostra cultura mediterranea, il bruto è prevalentemente il maschio di cui Mussolini vorrebbe incarnare l’essenza tra il politico e l’erotico. Questa fotografia dell’uomo che si pretende fieramente e autenticamente italiano è per noi una radiografia e l’interpretazione del bruto da parte di un’attrice donna, funziona come liquido di contrasto, come nelle radiografie, e ci permette di vedere l’invisibile, di andare ancora più a fondo per esplodere i chiaro-scuri.

La Drammaturgia

A firma di Fabrizio Sinisi, uno dei più importanti giovani talenti del nostro teatro, di recente insignito con il prestigioso Premio Testori per la Letteratura, Cabaret Mussolini si proporrà come una vasta opera brechtiana e polifonica, composta da narrazioni e musiche, dialoghi e monologhi in prima e in terza persona, in una pluralità di attori che fungono sia da personaggi che da narratori, in una continua e incessante moltiplicazione dei punti di vista,
Sono molti infatti gli angoli d’osservazione e gli assi tematici con cui raccontare Mussolini: la travolgente, violenta vitalità che sempre, fin dagli esordi scolastici, ne ha caratterizzato la biografia; l’emersione in lui di un nuovo tipo di uomo, antireligioso e spudoratamente pratico (raramente si ricorda che uno dei suoi primi scritti fu L’uomo e la divinità, un violento pamphlet contro l’esistenza di Dio).
C’è il rapporto con Milano, la città fervente e contraddittoria che l’ha prima incubato e sostenuto e poi giustiziato e irriso; c’è l’agonismo impaziente, tutto contemporaneo, di voler ottenere tutto, senza compromessi, e nel minor tempo possibile. E ancora: il suo orecchio finissimo per ciò che si muoveva nella collettività e nel Paese, la capacità di cogliere i cambiamenti del proprio tempo; l’uso precoce e brutale dei mass-media per attaccare il governo legittimo e fomentare proprio nello scontro con esso la propria personale idea di rivoluzione “dal basso”; la diffidenza nei confronti della cultura; il rapporto col Femminile, sempre sopraffattore e sempre colpevole.

L’approccio

La gestazione dello spettacolo avviene a seguito di un percorso di studio di alcuni autori di riferimento: De Felice, Montanelli, Scurati, Woller, Longanesi, Flaiano, Petrolini, attraverso una creazione corale che vede sin da principio, nelle fasi di ideazione e scrittura, il coinvolgimento degli attori e l’affiancamento al regista e al drammaturgo anche di un compositore e di un coreografo, oltre che di scenografo, costumista e light designer.

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