Medea va in strada. Intervista di Simone Azzoni a Elena Cotugno – artribune 25 gennaio 2019
Parola all’attrice che porta in strada il mito di Euripide, adattandolo all’attualità.
Medea per strada non è la prevedibile rivisitazione di un classico. Il Teatro dei Borgia non ha scritto l’ennesima elegia da teatro civile. Nella regia di Gianpiero Borgia, nella scrittura di Fabrizio Sinisi e sulla scena di Filippo Sarcinelli si consuma l’eterno conflitto tra teatro e verità. Medea per strada è innanzitutto un’esperienza di incontro. Mentre il furgone con sette spettatori a bordo percorre le strade del racket del sesso nelle città d’Italia, Elena Cotugno racconta la storia di una giovane migrante, scappata dal proprio Paese, arrivata in Italia e finita a prostituirsi per amore di un uomo da cui si crede ricambiata e da cui ha due figli. Eppure, ogni volta, in ogni città in cui si ripete il rito di questo spettacolo, alla fine di ogni tour il pubblico liquida l’incanto della finzione e chiede a Euripide di più.
“Gianpiero Borgia, Fabrizio Sinisi e io volevamo attualizzare un mito classico e ci siamo chiesti come farlo”, spiega l’attrice Elena Cotugno. “Ci siamo chiesti chi fosse oggi Medea, quale personaggio della tragedia greca potesse rappresentare una donna straniera catapultata nel nostro Paese con sogni trasformati in incubi e schiavitù”.
L’INTERVISTA
Cosa rappresenta quel finestrino da cui gli spettatori guardano fuori? Una soglia tra finzione e realtà? Dove sta l’una e dove sta l’altra?
All’interno assistiamo a un monologo teatrale. Però appena giriamo lo sguardo ci troviamo nella realtà. Questo conflitto tra due mondi crea nello spettatore un qualcosa che stride: sono a teatro? O nella realtà? Volevamo portare il pubblico in strada perché non si accomodasse su una poltrona.
La città appare sotto altri occhi. Ma come cambia lo sguardo dello spettatore?
Le strade sono quelle di tutti i giorni, ma ormai non ci facciamo più domande. Era necessario vedere con occhi diversi un fenomeno a cui ci siamo purtroppo assuefatti.
La dinamica è quella del viaggio. Ogni viaggio è una crescita. Come evolve la consapevolezza dello spettatore al termine del tour?
Lo spettatore è insieme ad altri passeggeri, la vicinanza crea relazioni e interazione. È un vero e proprio viaggio che si fa riflessione sul viaggio stesso. Ci si trova esposti, con tutti i sensi coinvolti. Ogni replica è determinata da chi c’è a bordo, molte sono poi le variabili: dal tempo al traffico.
Ma il furgone è permeabile o impermeabile? L’interazione avviene anche con le ragazze della strada?
Per rispetto, quando attraversiamo le zone calde cerchiamo un modo per non essere invadenti. A Bari o Genova è impossibile non passare attraverso le ragazze che “lavorano”, lo facciamo con discrezione, non ci fermiamo mai. Io continuo a raccontare perché l’attenzione non sia solo sulla strada. Poi, facciamo comunque una tappa, scendiamo sui marciapiedi per essere al posto delle ragazze, essere fisicamente lì.
Cosa ritorna uguale in tutte le repliche di questo spettacolo?
Ogni città ha le strade del sesso a pagamento e tutti le conoscono. In ogni città le zone sono divise per etnie. E a ogni replica il pubblico si ferma alla fine dello spettacolo per discutere con me su ciò a cui ha assistito.
Come costruite lo spettacolo adattandolo alle diverse città?
In ogni città contattiamo sempre associazioni e cooperative di riferimento, perché ci aiutino a tracciare un itinerario e a portare avanti la ricerca che stiamo facendo sul tema.
È pur sempre teatro, come salva la verità?
Mi dico sempre che ciò che sto facendo lo sto facendo con uno scopo ben preciso, quello che racconto posso raccontarlo soltanto perché grazie alle associazioni ho avuto contatti diretti e quindi ho un’esperienza diretta di ciò che racconto, e questo mi dà forza.
E la bellezza? Come salvarla dal degrado?
La bellezza è in tutto, dipende con che occhi vogliamo guardare al problema. Tutti conoscono Medea e conoscono il finale. Quando però io scendo dal furgone e incontro il pubblico “da Elena” mi capita che qualcuno mi voglia abbracciare. Li ho portati a vedere con Euripide una realtà terribile e invece di inveirmi contro gli spettatori desiderano riappacificarsi con ciò che si è visto. Io voglio sempre salvare le persone. Si vuole sempre trovare una bellezza, anche nelle cose terribili, nel degrado, c’è sempre un tentativo di riappacificazione con sé stessi.
E per evitare il moralismo?
Partire dal presupposto che sto raccontando Medea. Viene tutto filtrato dal mito, e questo filtro permette di non cadere nel moralismo. Noi stiamo facendo teatro. Io ho una parrucca, però l’obiettivo è la realtà. Il nostro intento è raccontare l’uomo, non fare teatro civile.
‒ Simone Azzoni