Giacomo

Un intervento d’arte drammatica in ambito politico

progetto di Elena Cotugno e Gianpiero Alighiero Borgia

testi di Giacomo Matteotti con interruzioni d’Aula / drammaturgia di Elena Cotugno e Gianpiero Borgia  dai verbali delle assemblee parlamentari del  31 gennaio 1921 e del 30 maggio 1924

con Elena Cotugno

costumi Giuseppe Avallone / artigiano dello spazio scenico Filippo Sarcinelli

ideazione, coaching, regia e luci Gianpiero Borgia

co-produzione TB e Artisti Associati Gorizia

con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei ministri

con il patrocinio di Comune di Fratta Polesine, Fondazione Giacomo Matteotti, Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” e Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

Giacomo vuole porre in risalto il discorso politico di Matteotti, mettendo a confronto due dei suoi interventi in Parlamento: quello del 31 gennaio 1921, in cui denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi e le squadracce fasciste, e quello del 30 maggio 1924, l’ultima seduta a cui Matteotti partecipò prima di essere assassinato, in cui contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.

Questa tragedia, una delle più politiche e antispettacolari di TB, consiste nella riproposizione dei discorsi di Matteotti nella loro nuda e terrificante verità. I principali temi sui quali lo spettacolo invita a riflettere sono il senso della militanza politica, i diritti di cittadinanza, la possibilità di opporsi alla violenza fascista con il richiamo ai valori di libertà e democrazia, ma anche il ruolo del teatro nella società, in un modo in cui gli ideali diventano opera d’arte.

TB continua il suo percorso di ricerca sulla relazione tra teatro e reale e tra teatro e politica: con questo lavoro  vuole portare la parola politica e i temi della democrazia sul palco usando i verbali d’assemblea quali elementi del reale, come sintagmi del proprio discorso poetico.

In scena avanzi di democrazia sui quali si arrampica l’esistenza di Matteotti, conficcata nel suo ruolo politico, come la Winnie dei Giorni Felici di Beckett è conficcata nella sabbia, da cui non può liberarsi e da cui sente il dovere di non liberarsi.

Elena Cotugno e Gianpiero Borgia sviluppano un lavoro sul ruolo lontano dalla tradizione italiana della maschera, sia parodistica sia documentaristica.

Qui, il cimento è col documento storico, col discorso politico e non con il dramma di finzione;  il tentativo che l’attrice compie in scena è quello di auto indursi uno stato alternativo di coscienza attraversando il discorso matteottiano con il lavoro sui punti energetici del corpo dai quali scaturisce la proiezione di vettori fonetici.

In questo modo al cospetto del pubblico, testimone dell’azione, la performance, grazie a questo parossistico training d’attrice, si trasforma in un autentico rito teatrale con il quale l’attrice dà il suo “corpo laico” alle parole di Giacomo Matteotti.

“Si può fare teatro raccontando il giorno in cui apparve il fantasma, 
facendo finta che ci sia il fantasma o cercando di far apparire il fantasma. 
Quest’ultimo è un po’ da matti, ma è l’unico cimento che ci interessa.” 
(TB)

Nel caso di Giacomo il fantasma che vogliamo far apparire non è Matteotti ma il discorso politico, quello vero, incisivo, che si fa destino nella vita degli uomini e storia in quella dei popoli.
Il lavoro è incentrato sui verbali integrali di due sedute dell’Assemblea parlamentare che definiscono il rapporto di Giacomo Matteotti con il fascismo. Nella seduta del 31 gennaio 1921 il parlamentare socialista denuncia le connivenze tra la forze politiche borghesi guidate da Giolitti e le squadracce fasciste; in quella del 30 maggio 1924, l’ultima a cui Matteotti partecipò prima del suo rapimento e del suo brutale assassinio, il deputato socialista contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.
Con Giacomo cerchiamo di portare il nostro teatro, che intendiamo come intervento d’arte drammatica in ambito politico, in un territorio di commistione col reale, come già avevamo fatto con Medea per strada e La Città dei Miti, ma nella direzione inversa: portando cioè il documento storico e il discorso politico nei teatri, perché crediamo che, se il teatro vuole riprendersi il suo posto nella polis, sui palcoscenici debbano prendere corpo le parole attorno a cui si costruisce la comunità politica, le parole che sono a fondamento della Repubblica.

Un ritratto storico
– Il 31 gennaio 1921: Giacomo Matteotti denuncia le violenze fasciste; ammette che anche dalla sua parte ci sono state azioni violente: «può essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto taluni nell’errore di azioni episodiche di violenza»; e conclude con l’attacco al Partito fascista: «Oggi in Italia esiste un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione e nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile». Accusa di complicità «di tutti questi fatti di violenza» anche l’allora presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, che lo interrompe seccamente.
– Il 30 maggio 1924: è la prima riunione della nuova Camera, chiamata ad approvare il risultato delle elezioni dell’aprile precedente (le ultime multi-partitiche, svolte con la legge Acerbo, proporzionale con premio di maggioranza). Il neo presidente dell’assemblea, Alfredo Rocco, propone a sorpresa la convalida in blocco dei deputati eletti per la maggioranza. Le opposizioni sono spiazzate. Matteotti interviene a braccio, raccoglie le sue poche carte e chiede di parlare. Contesta la validità delle elezioni, dice che si sono svolte sotto la minaccia «di una milizia armata» al servizio del capo del governo. «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto» intima Roberto Farinacci a Matteotti. «Fareste il vostro mestiere», risponde lui. Conclude dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza. A un collega che si congratula per l’efficacia del discorso replica amaro: «Però adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». E qualcuno ha sentito Mussolini dire: «Quando sarò liberato da questo rompic… di Matteotti?».

Un gesto
Il 1922 è l’anno della marcia su Roma e per ricordare questo episodio, un atto che ha brutalizzato la democrazia e la Polis, abbiamo pensato di impegnarci a “mettere il fuoco” sulla M giusta, quella di Matteotti.

Un ritratto drammatico
Con il lavoro sulla trilogia (La città dei miti) abbiamo voluto portare il teatro nella realtà. Con la serie dei Ritratti vogliamo portare la realtà nel teatro.
I Ritratti drammatici sono creazioni dedicate a chi ha sentito il bisogno di “Dare corpo laico alle proprie idee”, come diceva Pannella, figure della storia e della cronaca che hanno collocato la propria esistenza dove le parole lavoro e politica si sovrappongono. Nei ritratti drammatici la parola detta, la drammaturgia orale è il documento storico, oggettivo. La vita scenica, il tratto umano sono invece la prospettiva d’artista, la parte soggettiva del racconto.
Giacomo è il primo di questi Ritratti.

Giacomo Matteotti [Fratta Polesine, 22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924] è stato il segretario del PSU dal 1922 al 1924, prima della presa del potere da parte del regime fascista in Italia. Fu studioso di diritto penale e di pubblica finanza; organizzatore di leghe bracciantili, amministratore e sindaco di alcuni comuni del Polesine, deputato per tre legislature. Apostolo di verità e di ragione, esempio di coraggio morale e fisico, morì il 10 giugno 1924, a 39 anni, per mano di una banda di fascisti per ordine di Benito Mussolini.

Giacomo [scheda]

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